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Marco Mengoni in tour: “Chi ha lavorato a questo spettacolo è contro il genocidio a Gaza”

“Le persone che hanno lavorato a questo spettacolo sono contro il genocidio e ogni forma di violenza perpetrata in ogni parte del mondo”. Grandi lettere bianche hanno campeggiato sul maxischermo della data zero del tour Marco Mengoni: Live 2025, in programma la scorsa domenica 5 ottobre alla Prealpi San Biagio Arena di Conegliano, in provincia di Treviso. Marco Mengoni ha esordito nei concerti nei palazzetti con un messaggio che ha poi condiviso anche sui social e con il quale ha preso posizione sulla situazione nella Striscia di Gaza. Non è la prima volta che l’artista si esprime sul conflitto in corso in Palestina. La scorsa estate, infatti, il cantante aveva esposto spesso la bandiera palestinese. “Ce n’è abbastanza nel mio spettacolo di stop a questa roba orribile che ancora l’uomo continua a fare e non sa perché, però noi continuiamo a ripeterlo e magari arriva anche a quelle teste di c***o!”.

LE PROTESTE DI CLEMENTINO E DI GHALI

Negli scorsi giorni i rapper Clementino e Ghali avevano criticato i colleghi che non avevano preso posizione sulla situazione in Palestina, dove oltre 60 mila persone sono morte sotto i bombardamenti israeliani. “Dedicato a tutti i rapper italiani, i cosiddetti “rapper delle classifiche” che non hanno detto una sola parola sul genocidio a Gaza. Mettiteve Scuorno. E voi sareste rapper? Lo sapete cosa vuol dire essere rapper? Vuie non sapit nu c**z”, aveva scritto su Instagram Clementino. “Millantate la parola Hip Hop. Potete avere tutti i platini del mondo, tutte le collane d’oro del mondo, andare alle vostre sfilate di moda da sfigati, ma non siete nulla. Non siete rapper. Sit Munnezz!”. E ancora: “Ognuno sa il suo. State troppo a c***i vostri e non vi esponete perché poi perdete qualcosa. Tranquilli già avete perso qualcosa: la dignità! Ora commentate pure e distruggetemi nei commenti. Non mi fate niente”. Aveva concluso: “Stop a tutte le guerre del mondo!”. Ghali gli aveva fatto eco in un post intitolato “Il rap è morto, è tutto un gran teatro”. Il rapper milanese aveva infatti a sua volta attaccato coloro che non si espongono sulla Palestina. “I motivi per cui non ne parlate possono essere tre”, aveva scritto su Instagram. “1. Non vi interessa, non è nel vostro algoritmo, non sapete “come sono andate le cose”, avete un'idea confusa su chi siano i cattivi e i buoni ormai da decenni o pensate che sia una questione che appartiene solo a una specifica etnia, lontana dalla vostra. 2. Sostenete il genocidio e sì, sostenerlo vuol dire anche semplicemente non schierarsi. Qui c'entriamo tutti. Ma, come ogni volta, sarà troppo tardi quando lo capiremo. 3. Avete paura di perdere soldi, posizione e lavoro””. Si era poi chiesto: “Cosa ci avete guadagnato col vostro silenzio? Il rap è ufficialmente morto. Il silenzio dei rapper ha ucciso il genere”. Aveva proseguito: “Qualsiasi artista che millanta di essere un rapper e usa un sacco di parole per riempire le strofe ma non dice un c***o sulla Palestina non può definirsi tale”. Tuttavia, “L’Italia è attiva, l’Italia è ini piazza e la Flotilla passerà alla storia. Le persone che si sono imbarcate per far valere il diritto internazionale, per portare aiuti a Gaza, le persone che scendono in piazza e perdono giornate di lavoro, non sono da attaccare o ridicolizzare, sono da proteggere perché stanno compiendo l'azione più concreta finora e rappresentano la speranza”. Per il rapper, inoltre, sui politici grava “la responsabilità di essere complici di un genocidio”, anche se “sono certo, prima o poi il conto arriva”.

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