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Far East Film Festival 2025, i momenti indimenticabili della 27ma edizione

Venerdì 2 Maggio si è chiuso il Far East Film Festival di Udine, la più grande vetrina occidentale dedicata al cinema popolare asiatico in Europa. Un’edizione che verrà ricordata per l’ospite illustre, il regista Tsui Hark, e la rivalsa della Cina continentale su cinematografie storicamente dominanti ma apparse immerse in una fase di transizione, da Hong Kong alla Corea del Sud. Ecco gli highlights

Si è conclusa con un elogio di Sabrina Baracetti alla Pace universale la 27ma edizione del FEFF, riprendendo il tema d’apertura del festival che ben intercettava sia il complicato periodo che il mondo sta attraversando sia il ruolo, per non dire la responsabilità, che i festival cinematografici rivestono in un sistema sempre più allergico alla condivisione e allo scambio tra culture: non solo i tanti, meravigliosi film del Far East Film Festival ma anche i talk, le rassegne stampa, le presentazioni degli ospiti sul palco, l’abbraccio commovente e simbolico tra una star del cinema cinese e una del cinema taiwanese, i progetti tra Focus Asia e Ties That Bind e il confronto-incontro costante di miriadi di punti di vista differenti hanno stabilito ancora una volta l’importanza fondamentale di eventi come questo, per tenere aperte le menti quando al di fuori della sala chiuderle sembra sia diventata la norma.

SI SCRIVE 2025, SI LEGGE FEFF27

Con l’arduo compito di restituire il dolce sapore della straordinaria 26ma edizione i due fondatori del FEFF Sabrina Baracetti e Thomas Bertacche si presentavano ai blocchi di partenza del 24 Aprile con una selezione coraggiosa, a partire dall’ospite-simbolo: tra l’inarrivabile Zhang Yimou dello scorso anno, il quasi-colpaccio di Takeshi Kitano nel 2022 e, in questo 2025, Tsui Hark, sempre cinese sempre regista leggendario, il livello è rimasto assoluto, segnale di una credibilità totale acquisita nell’Estremo Oriente. Alla presenza di un nome così straordinario il festival affiancava anche la supestar taiwanese Sylvia Chang, oltre a 77 film da 12 diverse nazioni – di cui 49 in competizione – 8 anteprime mondiali, 12 dedicati alla restrospettiva “Yokai and Other Monsters” e 9 meravigliosi restauri, tra il culto filippino “Bona” e l’imprescindibile omaggio “Shangai Blues” dello stesso Tsui Hark.

COREA DEL SUD 1/ UNA NAZIONE IN TRANSIZIONE

Che la Corea del Sud non attraversasse il suo periodo migliore lo si è intuito anche dal programma del FEFF, storicamente dominato dal cinema della complessa penisola (due “impeachment” e un omicidio per tre degli ultimi cinque presidenti): solo 9 i film presenti e la dichiarata difficoltà dei selezionatori a trovare i titoli “giusti” per Udine. La Corea post-Covid genera poco più dei film che produceva nel 2020, tra investimenti privati in diminuzione e addirittura cinema costretti a riconvertirsi in strutture sportive, con alcuni tra i grandi schermi di Seoul trasformati in pareti da arrampicata. Una brusca virata verso nuovi scenari ben rappresentata dall’horror d’apertura, “Dark Nuns” di Kwon Hyuk-jae, capace di ripescare dalle antiche origini siberiane del popolo coreano i rituali sciamanici che la diva Song Hye-kyo, la suora protagonista specializzata in esorcismi, unirà al buddismo e alle Sacre Scritture cristiane (con l’intervento del Vaticano!) per liberare il corpo di un ragazzo da un potente demone. Un risultato atipico, interessante più per quel che racconta della nazione che per un’opera di genere girata con maestria ma stilemi fin troppo classici.

COREA DEL SUD 2/ PENSARE FUORI DAGLI SCHEMI

Se i grandi budget scarseggiano non rimane che attingere alla propria creatività: in questo i sudcoreani sono insuperabili, sia come sceneggiatori che come scuole di recitazione, tanto che due tra i migliori film di quest’edizione provenivano nonostante tutto dalla terra chiamata “Cho-Sun” (o “Joseon”), ovvero “Terra Gloriosa” che, non a caso, oltre ad essere il nome della principale dinastia coreana somiglia molto a “La Terra del Tranquillo Mattino”, il titolo del gioiello diretto da Park Ri-mong. Una storia che si affida totalmente al grande talento di due anziani caratteristi, figli della guerra civile, per raccontare una

vicenda universale in un piccolo villaggio di pescatori nella provincia sempre più abbandonata dai giovani, dove una ragazza vietnamita sposata per procura è al centro di un piccolo giallo sull’assicurazione che dovrebbe incassare alla notizia del presunto decesso del marito. Un mondo morente che crede ancora nel lavoro e nella tenacia ma che non sa come salvarsi, in un film dal respiro neorealista di straordinaria maturità, totalmente opposto per temi e atmosfere all’altro grande prodotto sudcoreano, quel “Love In The Big City” della regista E.Oni che, con brillanti tempi wilderiani, dirige la prima vera commedia dichiaratamente queer di questo cinema. Un’amicizia inconsueta e una convivenza “scandalosa” dove, inevitabile eppur sorprendente, ritroviamo pure un doppio omaggio a Luca Guadagnino e al suo “Chiamami Col Tuo Nome” in una delle scene più epiche di questo FEFF.

IL RITORNO DELLE FILIPPINE

Mentre a Seoul ci si arrampica sugli schermi, nelle Filippine il cinema torna a crescere. Storica discarica dei B-movies americani degli anni ‘70/’80 , le isole hanno sempre vantato un florido cinema popolare seppur non sempre di prim’ordine, Lav Diaz escluso. Da Udine è transitato “Sunshine” di Antoinette Jadaone, con la stellina Maris Racal a far girare più di qualche testa nel variegato pubblico del FEFF, soprattutto al termine dell’impressionante interpretazione di una ginnasta con ambizioni olimpiche rimasta incinta di un arrogante compagno di scuola alla vigilia dei tornei di qualificazione. L’aborto segreto, condannato senza pietà in un Paese molto cattolico, è l’unica soluzione per continuare ad allenarsi: in totale clandestinità rischierà la vita avventurandosi nelle notti di una città maledetta come Manila, combatterà per il controllo del proprio corpo contro la morale e le apparenze del padre influente del ragazzo e riapparirà in splendida forma sul finale, ai Giochi asiatici. Non sappiamo come ci sia riuscita nell’ostilità generale ma il messaggio – potentissimo – resta, così come la critica alla condizione delle donne filippine. I mondi cambiano: un film così fino a qualche tempo fa sarebbe stato assolutamente impensabile.

CINA 1/ O DI QUANDO IL DRAGONE SI PRESE TUTTO

Il cinema cinese è stato il protagonista indiscusso di questo FEFF, in grado di rubare la scena a tutto il resto dell’Estremo Oriente grazie a una versatilità e una sensibilità difficili da ritrovare con tanta frequenza nelle altre cinematografie presenti. Oltre al trionfatore di quest’edizione, “Her Story” di Shao Yihui, hanno lasciato il segno due film totalmente diversi tra loro: in “My Friend An Delie” di Dong Zi Jian (qui sia regista che protagonista), va in scena una lunga, delicata e complessa seduta terapeutica on the road per due vecchi compagni di scuola, con vertiginosi viaggi temporali guidati dal desiderio di dimenticare e il disagio di riuscirci, avvolti dalla magnifica fotografia di Lu Songye. Nel kolossal storico “Decoded” di Chen Si Cheng lo stesso attore Liu Haoran - il deuteragonista del personaggio di Dong - interpreta invece una sorta di Alan Touring cinese assoldato dai maoisti e decisivo per gli esiti della guerra civile, trascinandoci in un frammento specifico della Storia cinese del ‘900: al netto degli horror trip fin troppo sopra le righe, un gran film.

CINA 2/ TRA CAPITALISMO E TRADIZIONE

Mentre tutt’attorno al Teatro Giovanni Nuovo da Udine è in corso la guerra globale dei dazi tra gli americani e i cinesi loro nemici giurati, sul gigantesco schermo del festival i due mondi sono sembrati ben più vicini di quanto ammetterranno mai: con “Like A Rolling Stone” di Yin Lichuan la struttura patriarcale ancora dura a morire nell’odierna società cinese viene messa alla gogna con l’avvincente racconto di una donna di mezz’età che, stanca delle umiliazioni quotidiane, fugge dalle mura domestiche buttandosi in un on the road senza fine raccontato attraverso i social media. Una storia vera e di successo sia su Instagram che al FEFF (sul podio dei più graditi dal pubblico) di un’influencer atipica nominata dalla BBC tra le 100 donne più influenti del 2024: una critica sociale che ben si sposa con quella più specifica della vita infernale dei rider cinesi nelle metropoli in “Upstream” di Xu Zheng, con lo spietato capitalismo in salsa cinese (ma per nulla diverso da quello Usa) mostrato in tutta la sua crudeltà nel licenziamento improvviso di un ingegnere informatico incapace di ritrovare lavoro a 45 anni e costretto dunque a fare il rider per pagare il mutuo, fino al colpo di scena finale.

I VINCITORI DEL FEFF27

Come detto a farla da padrone è stata la Cina continentale, e la serata finale con l’annuncio dei vincitori non ha fatto altro che confermarlo: “Her Story” di Shao Yihui ha vinto quest’edizione del Far East Film Festival aggiudicandosi il primo premio del pubblico e il Gelso D’Oro grazie ai dialoghi brillanti di un’irresistibile commedia tutta al femminile ambientata nella Cina di oggi, dove i venti di uguaglianza e di inclusività arrivati dall’Occidente sembrano essere entrati anche nelle case delle famiglie borghesi di Shangai. Magari non rappresenta fedelmente il pensiero della maggioranza cinese ma a Udine ha intrattenuto come pochi altri mentre in patria ha acceso un forte dibattito, oltre a superare i 100 milioni di dollari al box office. Il Gelso per la Miglior Sceneggiatura è andato invece alla commedia-thriller “Welcome To The Village” del giapponese Jojo Hideo, probabilmente per il geniale uso della cannabis come strumento di fuga di una coppia da un remoto villaggio dove si era appena trasferita; lo strambo e malinconico giappo-filippino-malese “Diamonds In The Sand” di Janus Victoria ha vinto il Gelso Bianco per la Miglior Opera Prima mentre l’hongkonghese “The Last Dance” di Anselm Chan è sia arrivato secondo nelle votazioni del pubblico sia è stato premiato con il Black Dragon Audience Award, ironicamente condividendo con un altro premiato – il capolavoro mongolo “Silent City Driver” – le cupe atmosfere di un dramma ambientato nel business delle pompe funebri: strano a dirsi, sono stati due tra i film più affascinanti di questo FEFF27.

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