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India Pakistan, perché si combatte nel Kashmir: storia del conflitto

La tensione tra India e Pakistan è tornata a salire dopo l’attentato del 22 aprile nel Kashmir, che ha causato la morte di 25 turisti indiani e di un cittadino nepalese. In risposta, l’esercito indiano ha lanciato un’operazione militare contro obiettivi ritenuti terroristici, colpendo con missili strutture nel Punjab pakistano e nel Kashmir sotto controllo di Islamabad. Gli attacchi indiani su sei località in Pakistan e gli scontri lungo la linea di controllo hanno provocato decine di morti e feriti tra i civili. Il Pakistan ha dichiarato di aver abbattuto cinque jet indiani e ha definito l’azione un “atto di guerra”, promettendo una risposta “forte”. Questa nuova escalation è solo l’ultimo episodio di una lunga storia di tensioni tra India e Pakistan, due Paesi nati nel 1947 dopo la fine del dominio coloniale britannico. Al centro della contesa c’è da allora la regione del Kashmir, con un conflitto che affonda le sue radici nella spartizione del subcontinente.  

L’origine del conflitto e il ruolo del Kashmir

La regione del Kashmir è contesa da India e Pakistan fin dalla partizione dell’India britannica nel 1947. Entrambi i Paesi la rivendicano per intero, ma ognuno ne controlla solo una parte. Le due porzioni sono separate dalla cosiddetta “linea di controllo”, uno dei confini più militarizzati al mondo, tracciato come linea di cessate il fuoco al termine della prima guerra indo-pakistana del 1947-48. Una terza parte del territorio, quella orientale, è invece sotto il controllo della Cina. India e Pakistan sono entrati in guerra altre due volte per il Kashmir, nel 1965 e nel 1999. La disputa risale alla divisione dell’India coloniale, quando i principati semi-autonomi del subcontinente furono invitati ad aderire all’India (a maggioranza induista) o al Pakistan (a maggioranza musulmana). Il sovrano locale scelse di unirsi all’India, nonostante la popolazione fosse in prevalenza musulmana. Da allora, il malcontento in Kashmir è cresciuto: gli insorti armati continuano da decenni a opporsi al controllo di Nuova Delhi, con molti musulmani del Kashmir che sostengono l'obiettivo dei ribelli di unificare il territorio sotto il controllo pakistano o come stato indipendente. L’India accusa il Pakistan di sostenere i militanti attivi nella regione, un’accusa sempre respinta da Islamabad. La situazione è ulteriormente peggiorata nel 2019, quando il governo di Narendra Modi ha revocato lo status speciale del Kashmir amministrato dall’India, che garantiva alla regione un’autonomia limitata dal 1949. La decisione (in linea con le promesse del nazionalismo indù) è stata ben accolta nel resto del Paese ma ha suscitato forti proteste nella popolazione locale.  A seguire, è partita una stretta sulla sicurezza con un notevole ridimensionamento delle libertà civili. Negli ultimi anni, in un contesto di repressione e forte controllo militare, la violenza armata si era in parte ridotta e i flussi turistici erano ripresi.

L'attentato del 22 aprile ha riacceso lo scontro

L’attentato del 22 aprile, in cui hanno perso la vita 25 turisti indiani e un cittadino nepalese nella regione del Kashmir, ha interrotto questo fragile equilibrio, riportando il conflitto al centro della scena tra le due potenze nucleari. La responsabilità dell’attacco è stata rivendicata da un gruppo militante islamico fino ad allora sconosciuto, che si fa chiamare “Fronte della Resistenza”. L'India ha accusato il Pakistan di fiancheggiare i terroristi, pur senza fornire prove pubbliche. Il Pakistan ha negato qualsiasi coinvolgimento, ma le accuse incrociate tra i due Paesi sono proseguite per giorni. Il governo indiano ha adottato una serie di misure punitive: ha ridotto i rapporti diplomatici, sospeso un trattato fondamentale per la condivisione delle acque tra i due Stati e revocato tutti i visti concessi ai cittadini pakistani. In risposta, il Pakistan ha chiuso il proprio spazio aereo a tutte le compagnie aeree indiane o gestite da indiani e ha interrotto gli scambi commerciali con Nuova Delhi, anche quelli indiretti attraverso Paesi terzi.

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