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'Diluvio e Delirio', storia e retroscena del secondo scudetto della Lazio

Era il 14 maggio del 2000, 25 anni fa, la Lazio di Cragnotti vinceva "Lo scudetto più incredibile di sempre" e i nostri giornalisti Valerio Spina e Manuele Baiocchini ce lo raccontano in un libro che celebra quella squadra incredibile capace di vincere sia in Italia che in Europa.

Storie, racconti, aneddoti inediti da capitan Nesta a Mihajlovic fino a Nedved, Veron, Mancini, Simone Inzaghi e tanti altri campioni hanno fatto parte di quella squadra incredibile. Un viaggio che comincia dallo spogliatoio di Formello, fa il giro di mezzo mondo e si chiude nella scatenata festa tricolore sul pullman in giro per Roma. Ah… c’è anche un Pinguino ma lui non ha nessun motivo per essere felice. Di seguito un estratto dal capitolo dedicato a Roberto Mancini "Il Boss"

Bobbi il Boss è abituato a fare il capo. Negli anni genovesi alla Samp, da figlioccio prediletto del presidente Mantovani, fa e disfa come vuole squadra e spogliatoio. Vince lo scudetto, la Coppa delle Coppe, altri cinque titoli fra Coppa Italia e Supercoppa e sfiora pure la Coppa dei Campioni, persa in finale a Wembley, contro il Barcellona, soltanto ai supplementari. A quasi trentatré anni, Roberto Mancini ha fatto la storia, ha tatuato il marinaio simbolo del club sulla pelle, ha vinto tutto quello che si può vincere e ora vuole un’altra avventura per finire la carriera in bellezza, un ultimo tentativo per provare a riempire ancora la bacheca personale conqualcosa di importante, visto che a Genova non è più aria.

È l’estate del 1997. Cragnotti vuole un uomo di grande immagine e personalità, italiano, che sia la faccia da mettere in copertina per la sua Lazio. Vuole un leader. C’è già Beppe Signori, che è il Re di Roma biancoceleste, è stato capocannoniere tre volte, ma è quasi alla fine della sua avventura con questi colori e, per questo, bisogna puntare su qualcuno di nuovo. Le opzioni sul tavolo del Pres sono due ed entrambe fanno Roberto di nome: la prima è il Mancio, appunto, corteggiato anche da Moratti all’Inter; la seconda è Baggio, che vuole andare via dal Milan, dove non trova spazio. Dura decidere. A Cragnotti serve personalità, vuole carisma per cambiare la mentalità di un club abituato ad altre ambizioni. Non ha dubbi il patron, nonostante la pressione di alcuni dei suoi collaboratori più vicini che spingono per il Divin Codino.

Mancini sarà il nuovo 10 della Lazio, con Eriksson in panchina. D’altronde la coppia è affiatata, funziona a memoria e provarla in tandem a Roma sembra la scelta migliore possibile. Altri tre anni in serie A nell’ultimo contratto della carriera da giocatore per Mancio, che si prende la Lazio sulle spalle praticamente subito. Con Sven c’è intesa totale, lavorano insieme da anni e tutte le decisioni del Mister sono sempre condivise e timbrate dal giocatore. Lo svedese lo conosce, sa gestirlo e si affida alle sue qualità migliori. Basta uno sguardo, un cenno, un gesto dal campo alla panchina e i due si capiscono al volo. Perché Mancini fa la differenza in tutto: quando gioca, nello spogliatoio, con la stampa. Decide pure come devono essere le divise da gioco e da allenamento della squadra, sceglie i colori, le dimensioni delle taglie, èl’inventore del calzoncino «al ginocchio» che manda in soffitta i vecchi modelli attillati. Fa davvero tutto. È anche il referente a Formello, non ufficiale, del nuovo sponsor tecnico della squadra, a cui propone una rivoluzionaria terza maglia rossa, inusuale per la Lazio, da affiancare alle classiche prime due divise. Una scaramanzia che aveva portato bene ai tempi della Sampdoria.

La Puma, che prende il posto della storica Umbro, cerca di accontentarlo con qualche test di prova, ma la notizia esce e i tifosi non la prendono bene per niente. Tutti contro la proposta di Mancini. La maglia rossa come quella dei cugini non la vogliono nemmeno per scherzo. E non è la scelta migliore dei manager della multinazionale tedesca, per cominciare l’avventura laziale. Lo sa pure il direttore delle relazioni esterne Puma, Furio Focolari, laziale doc che conosce l’ambiente molto bene. Chiama il Mancio e lo convince a mollare: «Meglio il giallo, Robè, fidati di me, io poi non me la prendo ’sta responsabilità». Anche perché la curva, non conoscendo il retroscena, gli dedica uno striscione che invita decisamente alla riflessione: «Furio canaglia ci hai cambiato la maglia». Alla fine la terza divisa sarà gialla, come quella per giocare in Europa.

Ed è con quella che la Lazio vincerà l’ultima edizione della storia della Coppa delle Coppe al Villa Park di Birmingham contro il Maiorca a maggio 1999. Senza dubbio un portafortuna addirittura migliore del rosso manciniano.

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